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A T H E N A


Fortunato Zocchi

L'Arte della Mistificazione e la Mistificazione nell'Arte di Lautréamont (1962)

La Similitudine nei Chants de Maldoror (1967)

Le Paysage dans les Chants de Maldoror (1974)

Il "Bestiaire" di Lautréamont (1976)

Lautréamont

 

FORTUNATO ZOCCHI

Il Bestiaire di Lautréamont

Estratto da
"FRANCIA" - Periodico di cultura francese
N. 18 Aprile-Giugno 1976

 

rainbow

        Già in precedenti lavori (Note 1) abbiamo sostenuto che l'arte di Lautréamont è soprattutto mistificazione cosciente e voluta; e pur tuttavia rimane opera unica e irripetibile, sia per lo stile sia per la tecnica di composizione. Per cui il lettore, immerso in una atmosfera cupa, viene trascinato attraverso quel marasma di parole incantatrici che sono gli Chants de Maldoror.
        Si ha l'impressione di un lavoro costruito faticosamente, attraverso una conscia allucinazione; tutto l'andamento dell'opera ha il carattere dell'improvvisazione, della stesura di getto, che però nasconde un lavoro attento ed estremamente controllato. Anche nello studio sul "bestiaire" di Lautréamont, che vuole essere un ulteriore esame analitico degli Chants, ci sembra di trovarne conferma. M. Blanchot nega l'utilità dell'analisi affermando: "Que peut atteindre l'analyse?" (Note 2). Noi riteniamo invece che l'analisi, pur correndo il rischio di frantumare l'unità dell'opera, è la sola via certa per condurre uno studio approfondito e sicuro di una opera così caotica come gli Chants de Maldoror.
        E' pur vero che tale lavoro appare improbo e talvolta fa dubitare di riuscire ad accostare e a tenere uniti taluni elementi; tuttavia i nostri studi , anche precedenti, sembrano darci ragione. Infatti, in omaggio alla visione unitaria dell'opera, abbiamo avuto studi sommari, dove l'impressione soggettiva ha la maggior parte e in cui si hanno citazioni di brani estrapolati dal tessuto generale, usati a nostro avviso in modo arbitrario (Note 3).
        Il mondo animale di Lautréamont è dunque complesso, farraginoso, dinamico, in continua trasformazione, in un perpetuo gioco di apparizioni e sparizioni; mondo strano, angoscioso, pullulante e contorto, composito e desueto, in cui si trovano animali reali e surreali, giganteschi e mostruosi, metamorfosati. Ma, oltre a questo dinamismo, che dà un movimento filmico-onirico a tutte le strofe degli Chants, esistono altri trucchi letterari e linguistici cui il Nostro fa continuamente ricorso. Infatti, l'animale, pur occupando una parte rilevantissima nell'insieme dell'opera, non è soltanto il protagonista dell'azione; anzi raramente lo è. In genere lo si ritrova un po'dovunque: nella similitudine, nell'apostrofe, nell'invocazione, nell'invettiva, nella descrizione. L'animale è nominato incidentalmente, buttato là, senza quasi aver l'aria di mettercelo, ma la sua apparizione ha una sua ragion d'essere, legata al contesto. Anche là dove, a prima vista, potrebbe non apparire così. Uno dei trucchi, cui facilmente ricorre Lautréamont, è il gigantismo che, a sua volta, si pluralizza in una molteplicità di forme, tali da consentire al poeta di variare l'effetto, senza quasi che il lettore se ne accorga.
        Una delle forme più elementari e più comuni è il ricorso alla similitudine: "Un ver luisant, grand comme une maison" (p. 20); "... serait capable, par un pouvoir occulte, de devenir aussi gros qu'un éléphant." (p. 134); "Comme il est grand le dragon; plus qu'un chêne" (p. 214); "Au moins qu'on ne trouvât dans la totalité de l'univers un pélican grand comme une montagne, ou au moins comme un promontoire (admirez, je vous prie, la finesse de la restriction qui ne perd aucun pouce de terrain) (p. 294) "cet animal articulé n'était pas beaucoup plus grand qu'une vache" (p. 314). La diversità di effetto è data dal cambiamento di similitudine, con l'aggiunta di una "moquerie" che, a nostro avviso, la rafforza o quanto meno ne sottolinea il valore. Altre volte il "gigantismo" è prodotto dalla moltiplicazione numerica data dal collettivo: "banc, légion, troupeaux , famille, nuage, armée, phalange, blocs" (Note 4) o anche dall'aggiunta di un aggettivo: "Grand poisson (p. 28), "gros crapaud" (p. 185), "immenses spermatozoïdes ténébreux" (p. 202). E talvolta dall'ibrido delle due forme giustapposte (similitudine + collettivo oppure collettivo + aggettivo): "Blocs de poux grands comme des montagnes" (p. 140); "longues files d'oiseaux" (p. 32); "différentes espèces de poissons" (p. 36); "Voici une famille innombrable qui s'avance" (p. 134).
        Si ha però il gigantismo anche con altri effetti tecnici: ad esempio il ricorso al numerale: "trois mille crabes" (p. 132) o addirittura attraverso l'elencazione di animali che, con la loro pluralità, sembrano riempire la scena e renderla ancora più complessa (Note 5).
        A volte invece si ha lo sdoppiamento di un animale (loup au mufle monstrueux, bouledogue, chien de la montagne), quasi a rendere più mostruoso l'animale e a duplicare la cattiveria del serpente, assommando tre qualità in una. Talvolta però il cambiamento del sostantivo serve unicamente come accorgimento letterario, volto a evitare la ripetizione dello stesso termine (canaris, serin, oiseau; cheval, coursier).
        Per non dire di altre forme di gigantismo sottolineate dalla azione: "Malheur au cachalot qui se battrait contre un pou. Il serait dévoré dans un clin d'oeil, malgré sa taille. Il ne resterait pas la queue pour annoncer la nouvelle" (p. 136).
        Talvolta invece l'effetto è dato dalla rappresentazione dell'animale fatta in una prospettiva ottica surreale: "Un pou, sortant subitement de derrière un promontoire, hérissait ses griffes" (p. 242), dove l'atteggiamento dell'animale - mostro e la sua apparizione ce ne danno un'idea mastodontica, quasi un ingrandimento al microscopio. Per cui Lautréamont si può senza dubbio ritenere un magnifico modellatore di immagini, che spesso nascono proprio da accorgimenti linguistici, come abbiamo finora visto. Ma, evidentemente, il repertorio del Nostro non finisce qui. Abbiamo ancora il trasformismo, per cui un certo animale appare d'improvviso dalla trasformazione di Maldoror in "pourceau" (p. 248), oppure si ha l'inverso, ossia lo sdoppiamento di personaggi uscenti da un animale (come nello "scarabée") ed altre forme ancora che conferiscono azione alla scena.
        La metamorfosi è piuttosto ricorrente negli Chants, ed è uno dei "trucs à effet" cui il Nostro fa spesso ricorso. Maldoror diventa maiale: "je rêvais que j' étais entré dans le corps d'un pourceau" (p. 284); e ritorna uomo: "je sentis que je redevenais homme" (p. 284). Le grida di Dio si mutano in vipere (Note 6); Maldoror si muta in polipo (Note 7) e assume anche l'aspetto di un'aquila per combattere il drago (Note 8) ossia la speranza. Il rinoceronte è la metamorfosi di Dio (Note 9); quella del "gran-duc de Virginie" e del "vautour des agneaux" che si combattono a vicenda per una donna che li ha traditi e che ora, trasformata in pallottola escrementizia, viene rotolata da uno scarabeo, a sua volta tradito da lei, così come era stato tradito il pellicano (Note 10).
        Inutile dire che questi animali sono la metamorfosi di creature umane (Note 11). Insomma, abbiamo qui un complesso di metamorfosi, proprio in quella strofa del canto quinto in cui prevalgono i plagi (da Buffon) (Note 12) e i discorsi farneticanti. E infine abbiamo l'episodio della "tarentule noire": "Un archange venu du ciel et messager du Seigneur, nous ordonna de nous changer dans une araignée unique" (p. 268). Ragno da cui avranno origine due adolescenti (Note 13). A queste metamorfosi vanno aggiunte altre forme ibride di mutamenti e trasformazioni come quella dell'anfibio (p. 292-294), metà creatura umana e metà pesce-cane o quella di Maldoror assalito e invaso da diversi animali (crapaud, caméléon, vipère, hérisson, crabe, méduse); immagine questa che ricorda certe litografie del romanticismo macabro o anche la Tentation de Saint Antoine di Flaubert. Né mancano altre espressioni quali: "L'autonomie, ou bien qu'on me change en hippopotame" (p. 328). Accanto a tutte queste abbiamo il gusto del dettaglio, per cui vengono osservati e messi in evidenza solo certi particolari del corpo di un animale (oeil, museau, pattes), o il caso in cui viene evidenziata la parte per il tutto: "L'oeil gros du crapaud" (p. 50) (Note 14).
        Ci sono poi gli effetti sonori, gli urli, le azioni, l'atteggiamento o semplicemente la presenza di un animale, i quali costituiscono l'orchestrazione che gioca attorno al motivo centrale, con esso stesso confondendosi, così da farne un tutt'uno. Certo, Lautréamont, non tralascia nessuna occasione per "crétiniser le lecteur", per produrre quell'"effet d'étonnement" che egli vuole propinargli pur di immetterlo in una certa atmosfera, di stupirlo, di stranirlo.
        Ed eccolo fare ricorso anche, in caso disperato, al nome desueto che dà comunque un certo tono al discorso (Note 15). Abbiamo così l'"acarus sarcopte" in chiusura del primo canto e l'"acantropus serraticornis" (p. 260), la "fulgore porte-lanterne" (p. 364), l'"engoulevent de la Caroline" (p. 386) e il "Kakatoès des Philippines" (p. 388).
        Non di rado il nome dell'animale è accompagnato da un aggettivo che, per contrapposizione o per rafforzamento, ne fa risaltare la figura (Note 16). Un altro procedimento lautreamontiano è il ricorso agli effetti strani, quali la fuga di animali "lenti", per cui si ha lo stesso effetto di accelerazione che si può ottenere girando una pellicola: "Pendant que les limaces, les cloportes et les limaçons s'enfuyaient vers l'obscurité des plus secrètes crevasses" (p. 294). L'immagine del fuggire, che è in contrasto con la lentezza caratteristica degli animali stessi, crea un'atmosfera, uno stato d'animo, che è di paura, di insicurezza, di terrore; cioè proprio quello che Lautréamont voleva.
        Talvolta, cioè, Lautréamont, con un procedimento piuttosto "déroutant", ci dà immagini che non esiteremo a definire surreali "ante litteram". E' questo un procedimento che ci pare fino allora sconosciuto e al quale nessuno ancora aveva fatto ricorso; e che dà un certo tono a tutta l'opera.
        La pioggia di rospi, la coda di pesce con ali di albatros, gli spermatozoi con ali di pipistrello o il granchio a cavallo sono immagini insolite e strane che concorrono a produrre un certo "étonnement" nel lettore e lo lasciano interdetto e sconcertato. Anche questo procedimento va dunque annoverato fra le "tecniche" di Lautréamont (Note 17).
        Abbiamo infine qualche tranquilla immagine descrittiva, che rientra nei normali canoni letterari (Note 18); ma, anche in questi casi, l'animale è, di solito, il testimone solitario e silenzioso di qualche scena criminosa.
        "Ultima ratio", abbiamo il caso in cui gli animali fanno da sfondo a episodi sereni (la folle, l'hermaphrodite). Allora il panorama sembra rasserenarsi, schiarirsi, allietarsi; ed ecco farfalle, uccelli pesciolini, che ne costituiscono lo sfondo.
        Di solito, però, abbiamo una pluralità di animali, fra i quali predominano il cane, il cavallo, i mostri marini, gli insetti, che pullulano nell'universo maldororiano e sembrano fargli da contrappunto. L'animale, quindi, come abbiamo detto, si può considerare un elemento che serve a rafforzare una scena, a sottolinearla e a renderla di volta in volta più dinamica, così che certi toni cupi sembrano avere maggiormente il loro effetto nella descrizione, nell'inserimento, nella posizione in cui vengono a trovarsi gli animali stessi. Lautréamont è insomma l'alchimista sapiente che, mescolando i vari ingredienti in giusta dose, sa ottenere gli effetti voluti. E questo è confermato anche dal caso "étonnant" del plagio (V e VI canto), scoperto da M. Viroux nel 1952, che dimostra l'abilità del Nostro nell'inserire nel contesto del discorso un passaggio non suo, ma in modo tale da farlo apparire suo. Così come, ci pare, la tecnica può valere anche per l'inserimento del "crapaud" che sostituisce il nome del Dazet reperibile nella prima edizione del canto I.
        L'andamento generale è altresì sintomatico. Nel canto II gli animali (che nei primi due erano nella norma, salvo qualche raro caso di gigantismo) si fanno abnormi per sdoppiamento, gigantismo, metamorfosi. Nel canto IV invece sembrano farsi più desueti e più vari. E qui abbiamo gli animali inseriti nelle similitudini più elaborate e il maggior ricorso al dettaglio (p. 20). Nel canto V si ha soprattutto il ricorso alla specie (rotiphères, tardigrades), quasi che l'accumulazione di più specie stia ad attestare l'incapacità di scelta o meglio l'esaurimento e quindi l'impotenza della creazione.
        Nel canto VI abbiamo una diminuzione sensibile del mondo animale, dal punto di vista quantitativo. Ma qui sappiamo che la tecnica di composizione cambia. Siamo passati al romanzo racconto. C'è già l'intreccio che sorregge. E l'artificio nuovo è nella chiusura strabiliante e sconnessa delle strofe, ciascun pezzo delle quali costituisce i prodromi che formeranno il mosaico finale di insieme. Inoltre c'è la tensione del racconto: le descrizioni si fanno più nitide, più precise, minuziose, talvolta cesellate. C'è insomma un certo ritorno ai canoni classici di composizione, i quali possono fare a meno di certi accorgimenti logico-stilistico-sintattici che erano necessari invece nei primi canti.
        Per cui ci pare che le conclusioni possano essere sempre le stesse: una flessione e una diversità nello stile di composizione, man mano che si procede verso la fine, una diminuzione di certi accorgimenti strani, abituali nell'opera. Si direbbe che, musicalmente parlando, il tono cali, si diversifichi, non sia più lo stesso. C'è un ritorno alla normale composizione di tipo classico, un esaurimento delle immagini insolite e sconvolgenti; quindi è possibile pensare a un esaurimento della vena poetica nuova e prorompente dei primi canti. Inversione voluta o involontaria? Mutamento ragionato oppure spontaneo e naturale? C'è comunque la volontà di continuare in qualche modo con l'insolito (chiusura delle singole strofe), pur di reggere sino alla fine nel progetto iniziale. Tuttavia la flessione di certe immagini ci fa riflettere e pensare a una eventuale diminuzione della possanza di immaginazione e della capacità di costruzione di un mondo difficile da tenere in piedi, con tutte quelle varianti tematiche che si incontrano nell'opera e quindi su un piano artificiale e artificioso. Il "genio" è dunque "épuisé?" Oppure torna alla norma dopo aver riconosciuto il suo errore? Nelle "poésies", pur affermando che è tutto da rifare, Lautréamont continua ancora nella sua tecnica mistificatoria; il che ci fa pensare che il suo atteggiamento sia soltanto un alibi per giustificare l'inaridirsi della sua personale vena poetica. Che altro di meglio infatti se non contraffare pensieri, massime e giudizi di altri? E la tecnica continua sempre uguale, anche se ufficialmente egli intende cambiare via, invertire la rotta; ma è un'inversione solo apparente. In realtà la tecnica è sempre mistificatoria. Tecnica di chi ricorre all'artificio per costruire qualcosa di nuovo. Artificio che evidentemente ha una durata limitata nel tempo.
        Questo gioco dell'orchestrazione in Lautréamont è difficile a cogliersi attraverso un'analisi; sembra più intuibile che analizzabile.
        Comunque tenteremo di coglierlo attraverso un esame analitico in cui ritornano due o tre elementi al massimo (Note 19).
        Ci pare che il tema del cavallo ne sia un esempio. Nel I canto (p. 133) ne abbiamo un primo abbozzo: "Contre le voleur qui s'enfuit au galop de son cheval après avoir commis un crime". Sembra un'idea buttata là; ma poi il tema verrà più volte ripreso e ampliato. Maldoror infatti appare sul suo cavallo, avvolto in un mantello nero. Questo cavallo galoppa soltanto la notte. E il cavaliere si sdoppia più avanti, quando "Mario e io" appaiono sulla spiaggia. La visione è sempre più surreale: essi fendono "les membranes de l'espace". Una specie di ritornello si ripete più volte: "Nos chevaux galopaient le long du rivage"; in forma quasi ossessiva e comunque intesa a sottolineare la corsa.
        Ma il quadro non è finito qui. Maldoror apparirà ancora, come un fantasma, sul suo cavallo, avvolto nel suo mantello. Qualche altro dettaglio si aggiunge: "Sa figure de platine", "le bruit irrégulier du galop", "un cheval nerveux" e la rapidità estrema del movimento. Questo gruppo cavallo-cavaliere si muove a una velocità vertiginosa; ben presto "il n'est qu'un point et va bientôt disparaître dans la bruyère". A ogni descrizione ulteriore vediamo allinearsi un nuovo elemento descrittivo: prima c'è solo il "voleur" a cavallo; poi Maldoror ha un mantello "noir"; poi vediamo i "sabots"; il "manteau que le lecteur s'est gardé d'ôter de sa mémoire", "et qui ne laissait entrevoir que les yeux"; per il colore il cavallo si delinea solo ora "un cheval blanc" e più sotto anche "nerveux". I due sono un tutt'uno, inscindibili, inseparabili. Ma il "manteau" era apparso anche con Mario et Moi: "La bise qui nous frappait en plein visage, s'engouffrait dans nos manteaux et faisait voltiger en arrière les cheveux de nos têtes jumelles" (Note 20).
        Abbiamo quindi un lento progredire nella descrizione attraverso qualche raro elemento aggiunto e al contempo un allargamento del campo ottico; il raggio d'azione si fa sempre più vasto; la visione quindi acquista in potenza e in forza espressiva. E questa ci sembra un po' la tematica di composizione di Lautréamont.
        Per cui il cavallo non è soltanto un elemento dinamico, è altresì elemento decorativo e pittorico, che serve a ben riempire il quadro infernale in cui si muove Maldoror. Per rendere anche meglio il confronto che ciascuno potrà fare, anche dal punto di vista quantitativo, riportiamo in nota tutte le citazioni in merito, relative all'argomento di cui ci stiamo occupando (Note 21).
        Si direbbe che nell'opera di Lautréamont ci sia una specie di orchestrazione, non sempre e, comunque, non facilmente riconoscibile. Ci sono infatti alcuni leit-motifs che, appena abbozzati, ritornano, si sviluppano, prendono ampiezza e assumono uno svolgimento che a volte raggiunge toni possenti: la nave, la tempesta.
        Tra gli altri vi sono anche temi "animali", quali il cane, il pidocchio, gli uccelli, così come ci sono il mare, la battaglia, il cimitero, la sete di infinito.
        A volte il tema va sfumandosi e perdendosi oppure si ristruttura in un tema nuovo.
        Quindi dietro l'apparente aridità di tecnica di composizione c'è, dominante sul resto o forse confusa col resto, una capacità di orchestrazione, diremmo quasi un orecchio musicale, singolare. C'è insomma, oltre all'intelligenza, anche il genio.
        Il cane ci sembra uno dei temi cui Lautréamont abbia dedicato maggior attenzione o almeno l'animale che ha il maggior numero di richiami negli "Chants" (almeno 10). Non vogliamo alludere semplicemente al cane protagonista di un'azione, ma al cane citato anche incidentalmente e sul quale il poeta fa le sue considerazioni.
        Ci pare di poter affermare che un punto soprattutto ha colpito Lautréamont: l'ululare del cane che egli attribuisce a "soif de l'infini".
        Abbiamo innanzitutto l'immagine di una muta di cani furiosi nel I canto. Ma, come spesso succede negli "Chants", il tema del cane si ripete lungo lo svolgimento dell'opera, sia pur diversificandosi.
        L'ululato del cane nella notte, il suo abbaiare furioso e insistentemente ripetuto mette paura. E Lautréamont associa sempre questo concetto dell'ululato a quello della paura. Alla fine addirittura scambia i lamenti di Mervyn, chiuso nel sacco, con l'ululato del cane (Note 22).
        Quasi non avesse reso abbastanza chiaramente il concetto dell'identificazione del cane con l'uomo, egli ce ne dà un esempio pratico.
        Ci pare che questo possa rientrare nell'orchestrazione tematica di cui si è fatto cenno più sopra. Un tema abbozzato (e sviluppato) e poi ripetuto su toni diversi, ma sempre con lo stesso timbro: l'ululato, la notte, la paura, l'insicurezza per la mancanza del padrone, la sete di infinito.
        Inframmezzati, ci sono molti altri cani o, quanto meno, molti altri aspetti del cane: il cane furioso, la carogna del cane (immagine baudelairiana), il cane che insegue il gatto o che violenta la bambina, che mangia i testicoli o ancora che lecca il sangue sul pavimento, il cane paralitico, il cane mansueto e fedele e infine c'è il cane in quelle similitudini desuete di cui abbiamo già fatto cenno in altro lavoro (Note 23).
        Ci sembra però che, per quanto riguarda questo animale, l'orchestrazione proceda a rovescio: da una grande scena iniziale (un largo in termini musicali) si ritorna a giocare su armonie più ridotte o talvolta della stessa ampiezza, ma con variazione di tema (tre Marie, le Bouledogue).
        L'unico animale cui sia dedicato un inno è il pidocchio che, nell'insieme dell'opera, ha una parte preponderante: infatti è considerato come il distruttore per eccellenza e viene visito minuziosamente sotto questo profilo, che viene anzi esasperato. Compare nei primi quattro canti e poi sparisce. Nel II canto abbiamo il suo trionfo. A lui Lautréamont dedica un "hymne de glorification" (p. 140). Già lo aveva invocato nel I canto. E l'invocazione qui ha tutto il carattere dell'intrusione, posta li nel bel mezzo di un discorso senza alcuna necessità logica (procedimento del resto abbastanza abituale e frequente in Lautréamont). Ma l'esplosione della sua forza distruttrice l'abbiamo nel Il canto: "Il existe un insecte..." (p. 132), dove si hanno gli avvenimenti più assurdi. Dice il Bachelard: "La page entière, dans sa barbarie, ne peut pas se résumer" (Note 24). Infatti si ha la scena del funerale del pidocchio, l'accoppiamento di Maldoror col pidocchio femmina, i blocchi di pidocchi che Maldoror getterà sulle "villes endormies" per annientare l'umanità; e altri effetti di magicismo, come quello del masso che salta per aria da solo (Note 25). Per cui il pidocchio, possibile distruttore della razza umana, assume una figura grandiosa, possente, invincibile. E questa figura, come tante altre, tornerà a comparire alla ribalta nel III canto.
        Qui il pidocchio è personaggio parlante (come la maggior parte degli animali protagonisti) e la sua apparizione è improvvisa, come improvviso è il sorgere del promontorio (Note 26). Tipica visione onirica. E al tempo stesso è un'azione nell'azione. E' il prodigioso, l'irreale, il fantastico che mantiene il tono e l'accresce. Dopo di che Lautréamont riprende il discorso e la scenografia già in atto. Anche qui il pidocchio "hérissant ses griffes" rimane nella panoramica già avuta nel Il canto. E' l'amico-aiutante dell'azione distruttrice di Maldoror. Lautréamont deve produrre immagini su immagini; ed ecco il mezzo: l'ingrandimento ottico di fenomeni naturali gli consente di offrirci una prospettiva mostruosa e grandiosa. Il microscopico si fa macroscopico. In fondo è ancora un fenomeno di gigantismo.
        Potremmo continuare l'analisi, prendendo in esame altri animali, ma, in fondo, finiremmo col ripeterci. A nostro avviso l'analisi tematica ci porta, l'abbiamo già detto, alle solite conclusioni. Lautréamont volle senza dubbio mistificare il lettore (lo dice egli stesso) e ci riuscì perfettamente con la ricchezza delle sue varianti stilistico-tematiche, con il moltiplicarsi dei suoi "sragionamenti" perfettamente logici nella loro illogicità, con le farneticazioni e le digressioni che sembrano messe lì a caso, seguendo il filo del discorso, ma che sono espressamente volute e decise con estrema chiarezza di intenti. Talvolta si rimane perplessi e sorge il dubbio che possa anche non essere così. Il ragionamento ci imporrebbe di rifiutarci di credere alla mistificazione. Ma, tutto sommato, bisogna ammettere che una mistificazione c'è stata: scelta, voluta, decisa; e perfettamente riuscita.
        Tanto che l'opera di Lautréamont trascina instancabilmente nella lettura e ci sorprende continuamente, perché vi scopriamo sempre elementi nuovi che ad un primo esame ci erano sfuggiti Opera magica, incantatrice e splendida nei suoi lucori infernali, nei suoi paesaggi stranamente vari e varianti, nei suoi personaggi nuovi e sorprendenti. E nel suo insieme, "déroutant" e sconvolgente.

NOTES

        (Note 1). F. Zocchi. L'arte della mistificazione e la mistificazione nell'arte di Lautréamont, in "Aevum", 1962, n. 36, pp. 8-15; Id., La similitudine nei "Chants de Maldoror" in "Aevum", 1967, gennaio-aprile, pp. 166-177; Id., Le paysage dans les "Chants de Maldoror", in "Revue d'histoire littéraire de la France", Paris, 1974, n. 3, pp. 419 - 437.

        (Note 2). M. Blanchot, Lautréamont et Sade, Paris, Ed. de Minuit, 1964, p. 70

        (Note 3). Del resto, sia pure per demolire l'analisi, il Blanchot finisce per condurre avanti uno studio analitico della crudeltà. E sembra poi tradirsi, là dove conclude: "Même illégitimes, de tels procédés analytiques restent valables, si l'on entend interroger une oeuvre selon les grands lieux autour desquels tournent la vie et le savoir traditionnels". Da parte nostra riteniamo che un'analisi, la quale si soffermi essenzialmente sul fatto linguistico, possa avere valore probante anche in quanto non si scosta dal quadro unico e organico di tutta l'opera.

        (Note 4). Riportiamo qui tutti gli esempi, citando dalle Oeuvres complètes di Lautréamont, Paris, Corti, 1963. "Bancs de poissons de toutes les espèces" (p. 292);"génération de poux" (p. 140), "comme des nuages de sauterelles" (p. 142), "comme un troupeau de moutons" (p. 161), "une couronne d'oiseaux de proie" (p. 172), "un piédestal de géants aquatiques" (p. 172), "une armée de monstres marins" (p. 176) , "comme un vol de courlis" (p. 184), "une légion de poulpes ailés" (p. 182, "une famille de crapauds" (p. 270), "une famille de baleines" (p. 240), "une phalange innombrable de guêpes" (p. 246), "un banc de cachalots macrocéphales (p. 282), "un troupeau de pourceaux" (p. 285), "une famille de palmipèdes" (p. 290), "une familles de pélicans" (p. 314), "peuplé de cygnes" (p. 420), "un troupeau de pécaris" (p. 204) "quelques cigognes" (p. 45), "voici une famille innombrable qui s'avance" (p. 134), "un tertre de fourmis" (p. 280), "toute une série d'oiseaux rapaces" (p. 274), "les pluies des crapauds" (p. 288), "remplie d'ignobles parasites" (p. 270).
        Dove si dimostra che il variare delle immagini è dato soprattutto dal variare dello stile di composizione. Gli ultimi due esempi costituiscono una variante: il primo, come immagine surreale, ci dà l''idea della quantità oltre che del movimento; il secondo ci dà l'idea della quantità, poggiando sul participo passato.

        (Note 5). "L'aigle, le corbeau, l'immortel pélican, le canard sauvage, la grue voyageuse éveillés, grelottant de froid, me verront passer (...); sur la terre la vipère, l'oeil gros du crapaud, le tigre, l'éléphant; dans la mer la baleine, le requin, le marteau, l'informe raie, la dent du phoque polaire, se demandent quelle est cette dérogations à la loi de la nature (p. 143)". "L'homme vit dans l'eau comme l'hippocampe; à travers les couches supérieures de l'air comme l'orfraie, et sous la terre comme la taupe, le cloporte et la sublimité du vermisseau" (p. 276).

        (Note 6). "Ils se changèrent en vipères en sortant de sa bouche et allèrent se cacher dans les broussailles, les murailles en ruine" (p. 215).

        (Note 7). "Il vit Maldoror changé en poulpe, avancer contre son corps ses huit pattes monstrueuses, dont chacune, lanière solide, aurait pu embrasser facilement la circonférence d'une planète" (p. 216). Qui il gioco del gigantismo appare in tutta la pienezza della sua composizione: il polipo ha otto zampe, cui si aggiunge l'aggettivo "monstrueuses"; a questo si aggiunga che avrebbero potuto abbracciare la superficie di un pianeta.

        (Note 8). "Tu agis d'après les règles de la raison, en te dépouillant de la forme d'aigle" (p. 234). "Mais lui, à peine a-t-il vu venir l'ennemi, s'est changé en aigle immense et se prépare au combat" (p. 232).

        (Note 9). "Mais nous savions que dans ce pachyderme s'était introduite la substance du seigneur" (p. 356).

        (Note 10). "Je le contemplais dans sa métamorphose durable" (p. 251).

        (Note 11). "Cette femme, par son pouvoir magique, m'a donné une tête de palmipède et a changé son frère en scarabée" (p. 322).

        (Note 12). M. Viroux, Lautréamont et le docteur Chenu, in "Mercure de France", n. 1070, décembre 1952, pp. 633-642.

        (Note 13). "Il y avait longtemps que l'araignée avait ouvert son ventre, d'où s'étaient élancés deux adolescents, à la robe bleue, chacun un glaive flamboyant à la main et qui avaient pris place à côté du lit, comme pour garder désormais le sanctuaire du sommeil" (p. 315).

        (Note 14). Non mancano altri esempi: "la dent du phoque polaire" (p. 143), "les grosses pattes de l'ours marin de l'océan boréal" (p. 83), "cornes d'élan" (p. 418), "l'aile d'un corbeau" (p. 420), "le coeur d'un requin" (p. 246), "yeux de poisson" (p. 256).

        (Note 15). "En comptant l'acarus sarcopte qui produit la gale, tu auras deux amis" (p. 160). Dove si può vedere che questo animale è inserito "ad abundantiam", senza alcuna necessità logica.

        (Note 16). "tigre marâtre" (p. 132); "monstres hideux" (p. 22), "panthères affamées" (p. 88), "chien avide" (p. 98), "chien voraces" (p. 114), "chien hargneux" (p. 388), "chien galeux" (p. 422), "canard sauvage" (p. 143), "grue voyageuse" (p. 50), "éléphants écorchés" (p. 132), "poulpe féroce" (p. 134), "poulpes ailés" (p. 182), "scorpène horrible" (p. 275), "serpentaire reptilivore" (p. 332), "tarentule noire" (p. 354), "insectes éphémères" (p. 208), "isards humains" (p. 204), "kakatoès humains" (p. 198).
        E si potrebbero citare numerosi altri esempi che tralasciamo di enumerare per ragioni di spazio e anche perché riteniamo che gli esempi citati siano sufficientemente probanti.

        (Note 17). "Le frère de la sangsue marchait à pas lents dans la forêt" (p. 157). "Alors, avec une pelle infernale qui accroît mes forces, j'extrais de cette mine inépuisable des blocs de poux, grands comme des montagnes, je les brise à coup de hache et je les transporte, pendant les nuits profondes, dans les artères des cités" (p. 189).
        "Quelquefois, dans une nuit d'orage, pendant que des légions de poulpes ailés, ressemblant de loin à des corbeaux, planent au dessus des nuages, en se dirigeant d'une rame raide vers la cité des humains, avec la mission de les avertir de changer leur conduite, le carillon à l'oeil sombre, voit deux êtres passer à la leurs des éclairs" (p. 213).
        "Comme un fleuve d'immenses spermatozoïdes ténébreux qui prennent leur essor dans l'éther lugubre, en cachant avec le vaste déploiement de leurs ailes de chauve-souris la nature entière et ses légions de poulpes devenus mornes à l'aspect de ces fulgurations sourdes et inexprimables" (p. 214).
        "Le crocodile ne changera pas un mot au vomissement sorti de dessous son crâne" (p. 219).
        "Les grillons et les crapauds, suivent à quelque pas la fête mortuaire (p. 308).
        "La pluie des crapauds, dont le magnifique spectacle dut ne pas être d'abord compris par les savants" (p. 274).
        "Que le bec du canari lui ronge éternellement l'axe du bulbe oculaire", (p. 342).
        "Il lui prêta deux ailes d'albatros et la queue du poisson prit son essor" (p. 354).
        "Le crabe tourteau, monté sur le cheval fougueux, courait à toute bride vers la direction de l'écueil" (p. 355).
        "Qu'il avait vu un coq fendre avec son bec un candélabre en deux" (p. 355).
        E chiaro che tali esempi di surrealismo si riferiscono soltanto agli animali, ma tutta l'opera ne è pervarsa.

        (Note 18). Lautréamont, op. cit., p. 221: "le pêcheur [...] se cachait avec son chien paralysé, sous quelque roche profonde".

        (Note 19). Lautréamont, Les Chants de Maldoror, canto I, p. 133.

        (Note 20). Lautréamont, op. cit. , p. 221.

        (Note 21). Citiamo tutti i riferimenti che ci sembrano utili a una migliore comprensione di quanto da noi affermato.
        "Contre le voleur qui s'enfuit au galop de son cheval après avoir commis un crime" (cani furiosi) (Lautréamont, op. cit., p. 133).
        "Ceux qui s'intitulent tes amis te regardent, frappés de consternation, chaque fois qu'ils te rencontrent, pâle et voûté, dans les théâtres, dans les places publiques, dans les églises, ou pressant de deux cuisses nerveuses ce cheval qui ne galope que pendant la nuit, tandis qu'il porte son maître fantôme, enveloppé dans un long manteau noir". (Lautréamont, op. cit., p. 159).
        "Lorsque le cocher donne un coup de fouet à ses chevaux, on dirait que c'est le fouet qui fait remuer son bras, et non son bras le fouet" (Lautréamont, op. cit., p. 168).
        "Si c'était un cheval ou un chien, je le laissais passer..."; (Lautréamont, op. cit., p. 208). "Maldoror sur son cheval, passe de cet endroit, avec la vitesse de l'éclair. Il aperçoit le noyé; cela suffit. Aussitôt il a arrêté son coursier et est descendu de l'étrier..." (Lautréamont, op. cit., p. 212).
        "Sans rien dire, il prend son ami, qu'il met en croupe, et, le coursier s'éloigne au galop" (Lautréamont, op. cit. p. 213).
        "Mario et Moi nous longions la grève. Nos chevaux, le cou tendu, fendaient les membranes de l'espace, et arrachaient des étincelles aux galets de la plage. La bise qui nous frappait en plein visage, s'engouffrait dans nos manteaux, et faisait voltiger en arrière les cheveux de nos têtes jumelles"; (Lautréamont, op. cit. p. 221).
        "Je l'avertis de serrer davantage son manteau autour de lui et lui me fait observer que mon cheval s'éloigne trop du sien..." (Lautréamont. op. cit., p. 223).
        "Nos chevaux galopaient le long du rivage, comme s'ils fuyaient l'oeil humain..." (ritornello che si ripete tre volte); "Je vais te prêter mon manteau pour te garantir du froid"; (Lautréamont, op. cit. p. 224).
        "Nos coursiers ralentissent la vitesse de leurs pieds d'airain; leurs corps tremblent, comme le chasseur surpris d'un troupeau de pécaris (Lautréamont, op. cit., p. 226).
        ...Et que ton éperon d'argent s'enfonce dans les flancs de ton coursier..."; (Lautréamont, op. cit. p. 226).
        "Mes chevaux effarés s'enfuient dans toutes les directions" (inno ai pederasti); (Lautréamont, op. cit., p. 306).
        Une queue de cheval aux crins épais, qui balaie la poussière du sol"; (Lautréamont, op. cit., p. 307).
        "Maldoror s'enfuyait au grand galop, en paraissant diriger sa course vers les murailles du cimetière. Les sabots de son coursier élevaient autour de son maître une fausse couronne de poussière épaisse. Vous autres, vous ne pouvez savoir le nom de ce cavalier; mais moi, je le sais. Il s'approchait de plus en plus; sa figure de platine commençait à devenir perceptible, quoique le bras en fût entièrement enveloppé d'un manteau que le lecteur s'est gardé d'ôter de sa mémoire et qui ne laissait apercevoir que les yeux. Au milieu de son discours, le traître des religions devient subitement pâle, car son oreille reconnaît le galop irrégulier de ce célèbre cheval blanc qui n'abandonna jamais son maître..." (Lautréamont, op. cit., p. 311).
        "Le bruit du galop s'accroissait de plus en plus; et, comme le cavalier, étreignant le ligne d'horizon, paraissait en vue, dans le champ d'optique qu'embrassait le portail du cimetière, rapide comme un cyclone giratoire, le prêtre des religions plus gravement reprit... Mais sachez, au moins que celui-là, dont vous apercevez la silhouette équivoque emportée par un cheval nerveux, et sur lequel je vous conseille de fixer le plus tôt possible, les yeux, car il n'est qu'un point, et va bientôt, disparaître dans la bruyère, quoiqu'il ait beaucoup vécu, est le seul véritable mort" (Lautréamont, op. cit., p. 311).

        (Note 22). "Leurs hurlements prolongés épouvantent la nature..." (Lautréamont. op. cit., p. 132).
        "Lorsque tu seras dans ton lit, que tu entendras les aboiements des chiens dans les campagne, cache-toi dans ta couverture, ne tourne pas en dérision ce qu'ils font: ils ont soif insatiable de l'infini, comme toi, comme le reste des humains à la figure pâle et longue... Moi, comme les chiens j'éprouve le besoin de l'infini..." (Lautréamont, op. cit., p. 133).
        "Le gardien de la maison aboie sourdement, car il lui semble qu'une légion d'êtres inconnus perce les pores des murs et apporte la terreur au chevet du sommeil. Peut-être n'êtes-vous pas sans avoir entendu, au moins une fois dans votre vie, ces sortes d'aboiements douloureux et prolongés" (Lautréamont, op. cit., p. 189).
        "Le chien se met à pousser un lugubre aboiement, car il ne trouve pas cette conduite naturelle, et le vent du dehors, s'engouffrant inégalement dans la fissure longitudinale de la fenêtre, fait vaciller la flamme, rabattue par deux coupoles de cristal rosé de la lampe de bronze" (Lautréamont, op. cit., p. 336).
        "Ce chien pousse, comme un enfant, des gémissements de douleurs, dit un autre; on dirait qu'il comprend le sort qui l'attend (Lautréamont, op. cit., pp. 351-352).
        C'est leur habitude, répondit un troisième; même quand ils ne sont plus malades, comme c'est le cas ici, il suffit que leur maître reste quelques jours absent du logis, pour qu'ils se mettent à faire entendre des hurlements qui, véritablement, sont pénibles à supporter" (Lautréamont, op. cit., p. 352).
        "...Se mettent à aboyer, tour à tour, soit comme un enfant qui crie de faim, soit comme un chat blessé, soit comme une femme qui va enfanter, soit comme un moribond atteint de la peste à l'hôpital, soit comme une jeune fille qui chante un air sublime... Contre leur propres aboiements qui leur font peur à eux-mêmes" (Lautréamont, op. cit., p. 133).

        (Note 23). Lautréamont, op. cit., p. 294.

        (Note 24). G. BACHELARD, Lautréamont, J.Corti, Paris, 1968, (ristampa del volume edito nel 1939).

        (Note 25). "...s' élance d'elle-même jusqu'au haut des airs comme par l'effet d'une poudre et tombe s'enfonçant "; Lautréamont, op. cit., p. 190.

        (Note 26). "Alors le pou, sortant subitement de derrière un promontoire, me dit, en hérissant ses griffes"; Lautréamont, op. cit., p. 249.

FORTUNATO ZOCCHI (zocchi@netsys.it)

 

        Ce texte a été dactylographié et corrigé par Nathalie Abd-el-Hamid, Delphine Decarli, Laura Dupuis et Mélanie Herzig.
        Il a, en outre, été relu et corrigé par l'auteur, Fortunato Zocchi.